CIRCA 5.400 DONNE RICEVONO OGNI ANNO UNA DIAGNOSI DI TUMORE ALL’OVAIO. SINTOMI, DIAGNOSI E SOPRAVVIVENZA: UN TUMORE DIFFICILE DA IDENTIFICARE PRECOCEMENTE
Il tumore dell’ovaio colpisce ogni anno circa 5.400 donne nel nostro Paese, risultando il decimo tumore femminile più frequente. In generale il tumore dell’ovaio all’inizio non dà sintomi o ne dà di aspecifici, comuni ad altre malattie, come disturbi addominali e intestinali. A oggi non esistono test per la diagnosi precoce. Per questo nella maggior parte dei casi il tumore dell’ovaio è identificato quando è già in uno stadio avanzato. Questo in parte spiega perché la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi si attesta a circa il 43% dei casi, inferiore a quella di altri tumori che colpiscono le donne. Se il tumore è però scoperto allo stadio iniziale, quando è ancora confinato all’ovaio, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi raggiunge il 70-90%. (Fonte: AIOM, I numeri del cancro in Italia 2024). Per approfondire: www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/guida-ai-tumori/tumore-delle-ovaie
LA CURA: DALLA CHIRURGIA ALLE NUOVE TERAPIE MOLECOLARI
La chirurgia è l’approccio più comune per rimuovere i tumori dell’ovaio e l’intervento può richiedere tecniche diverse a seconda dello stadio raggiunto dalla malattia. Il rischio che il cancro si ripresenti dopo l’operazione resta piuttosto alto (25-30%) e per questa ragione alla chirurgia seguono spesso trattamenti con chemioterapia adiuvante a base di carboplatino e paclitaxel. Lo stesso regime di combinazione può anche essere utilizzato come terapia neo-adiuvante, ossia prima della chirurgia, nei casi in cui la chirurgia radicale non sia praticabile. Tra i chemioterapici, la trabectedina è stata sviluppata da Maurizio D’Incalci e dal suo gruppo, oggi all’Istituto clinico Humanitas, grazie al sostegno continuativo di AIRC. Fino a una decina di anni fa la chemioterapia era l’unica opzione di trattamento farmacologico, ma oggi è affiancata anche da terapie a bersaglio molecolare, usate sia come prima linea di trattamento, sia in caso di recidiva.
4 MILIONI DI EURO INVESTITI DA FONDAZIONE AIRC PER STUDIARE IL TUMORE DELL’OVAIO
Fondazione AIRC solo nell’ultimo anno ha destinato quasi 4 milioni di euro per il sostegno di progetti di ricerca sul tumore dell’ovaio, arrivando a superare i 17.400.000 euro nell’ultimo quinquennio. Attualmente è allo studio un metodo per la diagnosi precoce, basato sull’analisi di specifici marcatori instabilità genomica che si possono trovare nei campioni raccolti per il pap-test. Inoltre si stanno valutando nuovi farmaci anche immunoterapici che possano agire in maniera mirata e in combinazione con terapie standard. Altre ricerche in corso riguardano lo sviluppo di terapie innovative che usano rispettivamente i linfociti T delle pazienti o le cellule Natural Killer di donatori sani (CAR–T e NK-CAR). Le cellule vengono raccolte, riprogrammate in laboratorio per potenziarne l’azione contro il cancro e poi reinfuse nelle pazienti. Parallelamente la ricerca di base lavora per individuare nuovi punti deboli del tumore su cui intervenire per bloccare la crescita e la diffusione metastatica.
“Purtroppo nessun esame di screening è ancora in grado di identificare il tumore dell’ovaio in fase precoce. Così ben l’80% dei tumori ovarici viene diagnosticato quando la malattia è già progredita e le probabilità di guarigione si riducono – spiega la Professoressa Domenica Lorusso, Direttore dell’Unità Operativa di Ginecologia Oncologica di Humanitas San Pio X -. La ricerca però sta facendo importanti progressi. Grazie a Fondazione AIRC stiamo portando avanti il nostro progetto focalizzato su due classi di farmaci, i Parp inibitori e l’immunoterapia. Vogliamo capire se la combinazione di queste due terapie funziona e se è più efficace della chemioterapia tradizionale contro il tumore ovarico resistente alla chemioterapia. Avremo anche la possibilità di fare una serie di analisi utili a identificare quali pazienti potrebbero beneficiare della combinazione di Parp inibitori e immunoterapia e quali sono i meccanismi di resistenza della recidiva”.
LA STORIA DI MARTA, 36 ANNI: “IO SONO QUI GRAZIE ALLA RICERCA…”
Le conquiste della ricerca si traducono in vite salvate e offrono nuove opportunità terapeutiche e migliori qualità di vita a tante pazienti, come Marta, 36 anni di Grosseto. Pochi anni fa a questa giovane è stato diagnosticato un tumore ovarico: “Era il 20 febbraio quando ho ricevuto la diagnosi. Mio padre dieci giorni prima aveva finalmente smesso di essere positivo al Covid dopo 90 giorni. Il 2 dicembre avevo perso mia madre all’improvviso – ricorda, scandendo le date che in due mesi le hanno stravolto la vita –. Ma io non ho mai perso la fiducia. Bisogna affidarsi ai medici e alla scienza, avere rispetto di chi combatte dalla stessa parte di noi pazienti, di chi ci sostiene e crede nella nostra guarigione. È il loro lavoro che permette oggi di anticipare il più possibile le diagnosi, così da darci una speranza perché la ricerca può curare anche le ferite più profonde. Io oggi sono qui grazie alla ricerca!”. La video storia di Marta: https://youtu.be/pPHMuJ4iy3c?si=FyByJALXXjCGZtyW