Nulla dava certezza, di arrivare a fine di giornata, con la serenità nell’animo, si era in tempo di guerra e dal 1941 sino al 1945, abbiamo vissuto con timore molti di questi traumi dovuti alla paura e alla guerra.
Durante il periodo di guerra, spesso l’allarme suonava nelle ore più strane, quindi bisognava correre per ripararsi nei rifugi, creati dalla Provincia o dal Comune. Spesso nelle città mancava la luce, molta gente mentre correva inciampava in fagotti di cenci o un fagottino con all’interno un bimbo, che veniva affidato a un comitato per bambini dispersi.
Le antiche dimore, avevano il proprio rifugio, nelle cantine scavate nel tufo, per strada tutti correvano a gambe levate, per non trovarsi in strada durante i bombardamenti sulle città, si andava di corsa dopo il sesto fischio della sirena, che suonava a due intervalli tre lunghi fischi, con una sosta di quindici secondi intervallati da una pausa di circa un minuto, subito dopo ancora tre fischi.
Poi iniziava il bombardamento a tappeto molta gente moriva, altre ferite nel corpo, chiedevano aiuto, senza ricevere una sicura risposta da chicchessia.
In caso di assenza di corrente elettrica, si usava ricorrere a tre colpi di cannone. Le porte dei rifugi restavano aperte anche per gli alleati che cercavano riparo dal fuoco nemico.
La guardia Regia, invogliava i cittadini a trovare un posto sicuro nei grandi rifugi, gli aerei scendevano a bassa quota, rasentavano le case mitragliando alla cieca, le persone che correvano in cerca di riparo spesso cadevano sul selciato e restavano ferme per non farsi colpire dai proiettili vaganti,
Anche nella città di Roma, suonavano le sirene dislocate in diversi punti della grande città, la prima in via Rosolino Pio (nel quartiere Monteverde), la seconda in via Imera, la terza in Via Santa Costanza, la quarta in Viale Regina Elena, la quinta sulla torre più alta di Castel Sant’Angelo.
Un pomeriggio a Bari un bombardamento improvviso tutti gli inquilini di un palazzo scesero per andare nel rifugio, tra i tanti coinquilini, anche una gatta, la quale prese possesso di un angolo dove aveva trovato una coppola di lana, che usò come nido per il suoi tre piccoli appena nati.
Mamma gatta, Miagolina per tutti noi, aveva trovato nel rifugio, la casa per i suoi gattini, nessuno dei proprietari o degli inquilini ebbe in coraggio di cacciarla da quel rifugio di fortuna, per quell’evento per noi inaspettato, un gattino rossiccio, il secondo era un micino completamente nero, il terzo era grigio come un cinerino, seduta stante battezzammo i tre gattini con i nomi giusti: Cinerino, Pelorosso e Nerina. Tutti i presenti, felici per i gattini, solo un bimbo piangeva aveva nascosto la sua palla dove la gatta aveva nascosto i suoi piccoli e aveva paura di essere graffiato dalla grande gatta Miagolina.
Per anni li abbiamo ospitati presso il nostro sontuoso rifugio, senza far pagare loro la pigione.
Erano figli della guerra anche loro.
Anna Sciacovelli