Si definisce a rischio di povertà lavorativa un individuo che vive in una famiglia a rischio di povertà e ha lavorato per più della metà dell’anno. Tale indicatore adotta dunque una definizione restrittiva di occupato, dal momento che esclude gli individui con una presenza discontinua sul mercato del lavoro e che presentano un maggior rischio di basso reddito. Lo rileva l’Istat nel rapporto ‘Condizioni di vita e reddito delle famiglie – Anni 2023-2024’.
Nel 2024, risulta a rischio di povertà lavorativa il 10,3% degli occupati tra i 18 e i 64 anni, in lieve crescita rispetto al 9,9% del 2023. Le donne presentano un rischio di povertà lavorativa inferiore a quello degli uomini (8,3% contro 11,8%) nonostante abbiano una maggiore probabilità di avere un lavoro a basso reddito; in effetti, spesso le donne sono “seconde percettrici” di reddito da lavoro nel nucleo familiare e la bassa retribuzione non si traduce necessariamente in un rischio di povertà familiare.
Nel 2023, l’ammontare di reddito percepito dalle famiglie più abbienti è 5,5 volte quello percepito dalle famiglie più povere (in aumento dal 5,3 del 2022). Lo rileva l’Istat nel rapporto ‘Condizioni di vita e reddito delle famiglie – Anni 2023-2024’.
Secondo l’Istat, nel 2024 il 23,1% popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale.
“Una vergogna! Dati da Terzo Mondo! Avere quasi un quarto della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale non è degno di un Paese civile” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Il fatto, poi, che il dato sia addirittura in peggioramento rispetto al 2023, dal 22,8% al 23,1%, attesta come le politiche del Governo Meloni abbiano fallito sul fronte del contrasto alla povertà, come era già stato attestato una decina di giorni fa, sempre dall’Istat, con l’aumento dell’indice di Gini” prosegue Dona.
“Urge una riforma complessiva del fisco che, in applicazione del criterio della progressività previsto dall”art. 53 della Costituzione, riduca ad esempio gli oneri di sistema e l’Iva sulle bollette di luce e gas, o l’aliquota Iva sui beni necessari come detersivi e saponi, oggi al 22% come il famoso salmone del ministro Lollobrigida, invece di immaginare il taglio delle aliquote Irpef per chi guadagna oltre 50 mila euro e che certo non rientra in questo 23,1% della popolazione che fa fatica ad arrivare alla fine del mese” conclude Dona.
Fonte Agenzia Dire